“…e vissero felici e contenti”. Queste sono le parole con
cui si concludono tutte le favole, e gran parte dei film che hanno quasi sempre
un finale che fa stare bene, dove il bene trionfa sul male, l’amore vince e
l’eroe sconfigge il cattivo. Il lieto fine piace perché tutto ci dice che la
vita dovrebbe andare così: tutta gioia, divertimento, serenità, soddisfazioni,
appunto vivere per sempre felici e contanti.
La felicità viene considerata un
diritto, la condizione naturale di tutti gli esseri umani. Tanto che se non si è
felici e contenti, si ha qualcosa che non va. E proprio per questo tutti cercano
di scartare, eliminare e fuggire dai sentimenti negativi, dalla tristezza, dal dolore, quando è del tutto evidente che è impossibile. La realtà è che queste idee mitizzate non sono altro che mere illusioni. La
felicità è più che altro un’opportunità e una situazione occasionale e
transitoria, di certo non è un diritto. L’illusione che la felicità sia un diritto e
che tutti debbano vivere in questo stato diventa una schiavitù, e su questa
illusione si fonda la manipolazione dei soggetti tossici che agganciano e
ingabbiano le proprie vittime, inducendogli successivamente al love bombing una sofferenza tremenda.
Ma una persona può essere felice? Sempre felice? O quanto
felice e in che modo? C’è qualcosa
di tremendamente ironico nella felicità. L’ironia sta nel fatto che le persone
non soltanto la ricercano, ma si sforzano anche di tenersela stretta,
soprattutto per evitare ogni senso di infelicità. Purtroppo, questi sforzi di
controllo possono diventare pesanti, pianificati, chiusi, rigidi, se non
addirittura distruttivi e malati, tanto da minare alla radice la possibilità di
essere felici. La felicità non è soltanto questione di sentirsi bene. Se così
fosse, le persone che fanno uso di droghe sarebbero le più felici al mondo. In
realtà, la ricerca dello stare bene può essere un’impresa molto infelice. Come nel caso dei rapporti tossici, dove ad un primo periodo idilliaco fa seguito un atroce incubo pieno di lacrime e sangue. E
comunque dovrebbe essere insegnato ai bambini che la felicità prevede, ingloba, e non può prescindere dalla tristezza.
“Voglio essere felice!”. Questa è
la schiavitù della felicità. Bisogna pesantemente mettere in discussione tutte
le certezze su come raggiungere la felicità. E se in realtà fossero proprio gli
sforzi incessanti a impedire di ottenerla? Cos’è poi davvero la felicità?
Quello che si pensa normalmente è l’idea di sentirsi bene, di provare piacere,
gratificazioni, sensazioni e emozioni piacevoli. Ma c’è anche un altro
significato del termine felicità, molto meno comune e diffuso, che è vivere una
vita ricca, piena, significativa, ma soprattutto coerente con ciò che sentiamo
e siamo nel profondo dell’anima. Non si tratta di sensazioni passeggere, ma di
un forte radicamento, dignità, identità, e vitalità che sgorga da dentro. E
proprio per questo ingloba e mette in conto anche sensazioni spiacevoli, come
tristezza, paura, rabbia, cioè l’intera gamma dei sentimenti.
La vita e la felicità comprendono sempre anche
il male, in quanto parte dello stesso ecosistema. Presto o tardi tutti
avremo problemi, diventeremo fragili, vecchi, moriremo. Presto o tardi vivremo
relazioni critiche e dovremo affrontare crisi, rotture, litigi, delusioni,
tradimenti, abbandoni, insuccessi, frustrazioni. La buona notizia è che, anche
se cerchiamo di evitare il dolore, si può imparare ad affrontarlo, a ridurne
gli effetti, e persino a godere nel superarlo. I rapporti tossici ne sono l'emblema. L’essere umano può soffrire anche
quando sostiene di essere innamorato. Ha un potenziale distruttivo che spesso
trova la sua realizzazioni in relazioni malate. Può trovare piacere persino nel
soffrire o nel fare soffrire. In più troppo spesso non si impara nulla dalle esperienze negative, ma dopo qualche tempo si passa semplicemente ad altro, senza una adeguata elaborazione del lutto. Così facendo però, si finisce per vivere alla continua ricerca di una felicità che magari non arriva, camminando continuamente sul bordo di tante esperienze mai davvero autentiche e profonde. E ci si può sentire estranei a se stessi, impegnati nell'estenuante ricerca
di una felicità irraggiungibile, nel tentativo disparato e inutile di evitare un dolore ineludibile.
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