L’attaccamento è la causa di ogni
male.
Attaccamento a un’idea, a un’opinione, attaccamento a una posizione, a un
periodo della propria vita, a un ruolo. Attaccamento alle cose o alle persone.
E così cerchi di fermare il flusso, che di esser fermo non ne vuole sapere.
Cerchi di congelare il tempo e la vita in forme pensiero statiche e senza
alcuna vitalità, in credenze senza alcun valore. Cerchi di avere ragione e di
dire che l’hai subita troppo grossa per lasciarla andare, che sono stati troppo
cattivi per perdonarli e che la vita è stata troppo dura con te. Ti attacchi
alla tua sofferenza con la quale ti rappresenti, ne parli, ti lamenti, la
esibisci continuamente come un trofeo.
L’attaccamento accresce la stasi, la
cementificazione, e in generale l’inerzia di quelle vite che sembrano non
andare da nessuna parte. Incontro tutte queste persone con problemi fisici,
economici, psicologici, nella maggior parte delle quali il solo vero intoppo è
la loro incapacità di lasciar andare qualcosa o qualcuno.
L’attaccamento è il
male più acuto e l’unico vero male a mio avviso. Se vado a scavare nella vita
delle persone trovo sempre che tutto il loro malessere nasce da una opinione
sulla realtà, una decisione presa chissà quanto tempo fa, di considerare la
vita in un certo modo, congelandola così in convinzioni folli. E allora cerco
di capire come questa decisione sia stata presa, chi ne erano gli attori
protagonisti, chi le comparse, quali le atmosfere. Scavo alla ricerca di quella
sfocatura che rende le persone tristi, affrante, ammalate. E quasi sempre trovo
una o più decisioni che non sono state mai più messe in discussione, trovo
giudizi, opinioni, prese di posizione che hanno cristallizzato una vita in
direzione del dolore.
Trovo che le persone si attacchino a queste convinzioni
dolorose con le unghie e con i denti. E ho scoperto che l’arte di lasciar
andare è veramente ciò che salva la
vita. La capacità di rinunciare al proprio dolore per quanto
grande e giustificato possa sembrarci, così come la possibilità di essere altro
da quello che si è stati finora, è ciò che ci può portare al prossimo passo del
nostro percorso, fuori dalla palude di giudizi e opinioni che ancora riteniamo
veri. La disposizione interiore ad ammettere di avere torto, ad abbandonare
luoghi, persone, situazioni, identificazioni e periodi della propria vita è ciò
che decongestiona, sfiamma e guarisce le persone.
Lasciar andare in profondità
significa scaricare le forme pensiero degenerative che abbiamo collezionato in
una intera esistenza
e permettere alla realtà di scivolare verso nuove forme. Lester Levenson
affermava che tutta la realtà della nostra esistenza si basa su una decisione
soltanto: o lascio andare qualsiasi pensiero ed emozione abbia in mente, o
trattengo. Se trattengo continuo a perpetrare la follia di una esistenza
diretta da un io piccolo che crede nell’avere ragione. Se rilascio entro nel flusso e nella fluidità.
Ma la decisione è sempre mia, in ogni momento e ad ogni passo. Per questo
continuo a ritenere l’arte del rilascio come una delle più sofisticate
metodologie della coscienza, a discapito della sua semplicità. A molti di
quelli con cui l’ho condivisa è cambiata la vita. E sicuramente cambiò me quando molti anni
fa il mio primo insegnante di rilascio, alla mia dettagliata esposizione di
tutti i miei complicatissimi e pesantissimi problemi esistenziali e fisici,
rispose sorridendo come se niente fosse: “Questa è la storia che ancora ti
racconti… ora puoi lasciarla andare?”.
Autore: L'indorata Pillola Blog