venerdì 15 dicembre 2017

La rinuncia all’immagine falsa di sé nel rapporto tossico



Il soggetto tossico non può rinunciare alla sua immagine falsa perché dietro non c’è nulla, se non il vuoto, la rabbia, il dolore. Gli esseri viventi dotati di sentimenti invece possono rinunciare ad una immagine falsa di sé che protegge altro, in particolare il proprio ego ferito. L’immagine è un messaggio contenete una totale o parziale falsità, una mistificazione della realtà per coprire qualcosa. Un esempio tipico è la lamentela costante della vittima di un rapporto tossico che in tal modo rigetta ogni tipo di responsabilità. Della serie, è il partner narcisista ad essere la causa della mia sofferenza, la colpa è sua io non centro. Scaricare la responsabilità toglie il peso dei sensi di colpa, dell’inadeguatezza, delle paure che non si vogliono affrontare. Liberarsi dal peso dei proprio errori, per addossarli agli altri (persone, società, natura, destino, sfortuna, carnefice, vampiro emotivo…). Il mantra è dominare, evitare di essere dominati, avere ragione, attirare l’attenzione su di sé, che sono tutti guadagni temporanei e illusori. Il prezzo da pagare per tutto questo è la serenità, la vitalità, la creatività, la gioia di vivere.
 
Ma cosa significa immagine? In che modo differisce dall’identità? L’immagine di sé è una struttura falsa, un’immagine appunto, non la realtà. Ogni volta che si crea un’immagine di se stessi si nega la propria vera natura. Se la fragilità fa paura, allora si supera la paura con una compensazione, e ci si convince di essere più forte della media gonfiando i muscoli in palestra. Se si ha paura di essere stupidi ci si crea l’immagine di essere intelligente. Se si ha paura di essere brutti, ci si crea l’immagine di persone eleganti e curate. Quindi c’è la paura, poi la compensazione, poi l’immagine che non è altro che un'illusione. La cosa più grave è che col tempo la paura scende sempre più nell’ombra e l’immagine positiva assume l’aspetto della realtà, una forma illusoria e protettiva diventa la persona stessa. Per questo risulta difficile abbandonarla. E per questo si cercano persone attorno che confermino questa immagine.
 
Ciò che viene negato e rimosso alimenta l’ombra e viene proiettato fuori. Se non si riconosce l’aggressività perché se ne ha paura, la vediamo regolarmente negli altri. Per la stessa ragione quanto più si è attaccati all’immagine di persone amabili, tanto più si è suscettibili rispetto a ciò che la mette in dubbio. La scissione tra bene e male in realtà non esiste. L’idea che ci sia un male da sconfiggere e un diavolo da allontanare è fuorviante e falsa. L'etimologia di "diavolo" significa "colui che separa". La dissociazione è un meccanismo di difesa da una sofferenza non digeribile, non spiegabile. In un certo senso il diavolo esiste veramente, ma è anche una forma pensiero prodotta dalla nostra coscienza che ha bisogno di vivere nella separazione.
 
Se vogliamo vivere in modo adulto, consapevole, maturo, occorre tenere insieme aspetti divergenti tra loro, occorre in primo luogo che accettiamo il male dentro di noi e fuori di noi, per poi decidere cosa fare. Vuol dire che tutte le volte che ci pensiamo separati dal male, che lo vediamo come un nemico da sopraffare, o che temiamo di fare del male perché vogliamo agire al di fuori del percorso "normale" chiesto dagli altri, in realtà stiamo facendo qualcosa di divino e diabolico allo stesso tempo. L'aspetto profondo della questione è che dobbiamo assumerci la responsabilità della scelta. Siamo abituati a mettere le nostre ombre in un angolo e negarle, ma questo crea il malessere. Cercare di essere buoni è una illusione, Jung invita a non essere buoni ma piuttosto a essere integri. L'unico scopo per cui siamo qui, infatti, è integrare dentro di noi i piani alti e profondi dell'esistenza tenendo uniti bene e male, bello e brutto, giusto e sbagliato. Vedo il male, lo riconosco, lo accetto, ma poi scelgo di conseguenza.

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